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Vita del Profeta Muhammad

Su di lui Pace e benedizione

di Hamza Piccardo

Hudaybiyyah

Nel 627 d.C. l’Inviato di Allah decise di assolvere all’Omra (il piccolo pellegrinaggio). Dopo sei anni di lontananza dalla Ka’ba aveva il desiderio di usufruire della tregua tradizionale per adempiere ai riti iniziati da Abramo.

Alla testa di un migliaio di fedeli, si mise in marcia verso la Città Santa. Le loro intenzioni erano pacifiche e cristalline: fare i sette giri rituali attorno alla casa di Allah e rivolgere all’Altissimo le dovute invocazioni.

Quando la notizia del loro avvicinarsi giunse alla Mecca, suscitò nei capi coreisciti il più grande imbarazzo.

Permettere a Muhammad (pbsl) di compiere l’Omra sarebbe stato ai loro occhi un segno di debolezza, anche in considerazione del disastro della coalizione che era stata fermata dal fossato di Salm-n al Farsi e dalla determinazione dei credenti. Impedirglielo avrebbe costituito una grave violazione della piena agibilità, che era garantita a tutti i pellegrini durante i mesi sacri; consuetudine, questa, su cui si basavano il prestigio e la potenza meccana. Alla fine l’odio per il Profeta e per l’Islàm prevalsero e Khalid ibn Walid, alla testa di duecento armati a cavallo fu inviato per fermarli. I Musulmani erano praticamente disarmati; di fronte al rischio di un grande spargimento di sangue, l’Inviato di Allah (pbsl, accettò di fermarsi e stipulare un accordo con i Quraysh. In base a questo trattato egli accettava di tornare indietro senza compiere l’Omra e di restituire i Musulmani che da Mecca fossero emigrati a Medina senza il consenso del loro clan. In cambio i politeisti si impegnavano a lasciarli andare in pace e permettere loro di effettuare l’ Omra nell’anno successivo, uscendo dalla Mecca e lasciando la città per tre giorni ai Musulmani. Entrambe le parti inoltre, stabilirono una tregua di dieci anni. I termini dell’accordo suscitarono reazioni di sconcerto e delusione tra i Musulmani, che videro svanire la possibilità di recarsi in quell’anno alla Mecca per assolvere ai riti. Le condizioni della tregua e le modalità con cui era stato steso il documento erano inoltre sembrate una resa alle pretese dei politeisti .

Un incidente sopravvenuto appena concluse le trattative aggravò il disagio dei credenti. Un giovane di nome Abu Jendal, niente meno che il figlio del plenipotenziario meccano che aveva definito l’accordo con il Profeta, si presentò per chiedere la protezione dei pellegrini. Era da tempo musulmano e la sua famiglia lo aveva incatenato per impedirgli di emigrare a Medina. Aveva approfittato della distrazione dei suoi carcerieri ed aveva ancora al collo le catene che lo avevano imprigionato.

Mentre i credenti stavano per festeggiarlo, suo padre raggelò tutti quanti colpendolo violentemente al viso. Poi si rivolse all’Inviato di Allah (pbsl): " Dai la prova della tua buonafede e restituiscici quest’uomo che si è allontanato senza il consenso della sua famiglia. Nello sconcerto generale il Profeta non poté non accondiscendere alla richiesta. Confortò il giovane promettendogli il soccorso divino e cercò di spiegargli come non poteva mancare alla parola data.

Mentre lo trascinavano via, Abu Jendal piangeva e chiedeva il soccorso dei credenti. La scena era di quelle da spaccare il cuore. Omar protestò con veemenza interpretando il sentimento comune con la sua consueta, irruente sincerità. Solo Abu Bakr mantenne la sua indefettibile fiducia nell’operato di Muhammad.

In quell’occasione l’Inviato di Allah (pbsl) ricevette una rivelazione, in base alla quale chiamò i suoi compagni a rinnovargli il patto di obbedienza. In tal modo riuscì a rinsaldare la comunità e corroborarne la fede nel disegno divino di cui era strumento.

Sulla via del ritorno la rivelazione della Sura XLVIII confermò che il suo era stato un comportamento illuminato dalla saggezza divina. I versetti dicevano: "In verità ti abbiamo concesso una vittoria evidente" ( Corano XLVIII,1). E poi: "Già Allah si è compiaciuto dei credenti quando ti giurarono [fedeltà] sotto l’albero. Sapeva quello che c’era nei loro cuori e fece scendere su di loro la Pace: li ha ricompensati con un’imminente vittoria". (Corano XLVIII,18).

Alla luce del prosieguo della storia si può ben capire quale sia la vittoria di cui si parla; nei due anni che seguirono i Musulmani attaccarono e conquistarono l’oasi di Khaybar eliminando un focolaio di eversione antislamica, assolsero trionfalmente all’Omra, e conquistarono la Mecca mettendo al bando l’idolatria.

Un altro episodio, sopravvenuto durante il ritorno del Profeta alla Mecca, doveva essere foriero di pesanti conseguenze per i nemici della fede.

Un giovane di nome Abu Basir, come già Abu Jendal, si presentò all’Inviato di Allah (pbsl): era sfuggito alla sua famiglia che contrastava il suo Islàm. Dietro di lui giunse un incaricato della sua famiglia, per chiederne la restituzione in base all’accordo concluso. La richiesta era legittima e non si poté opporvi rifiuto. Sulla via del ritorno Abu Basir riuscì a rivoltarsi, uccise l’uomo che lo stava riconducendo alla Mecca e mise in fuga il servo che lo accompagnava.

Quando si ripresentò al Profeta, egli fu sinceramente ammirato dalla sua determinazione e dalla sua audacia, pur ribadendo l’impossibilità di accettarlo a Medina.

Il Profeta disse, quasi tra sé e sé: "Che magnifica scintilla per una guerra, se avesse avuto altri uomini con lui. Quella piccola frase suggerì ad Abu Basir quello che avrebbe dovuto fare.

Si rifugiò in un bosco nei dintorni di Badr e fu presto raggiunto da altri che come lui erano scappati dalla Mecca e non potevano essere accolti a Medina. Si diedero alla guerriglia contro le carovane coreiscite e in poco tempo si costituì una banda di una settantina di persone, rapide e determinate, che divennero l’incubo dei carovanieri meccani.

Senza altre vie d’uscita i Coreisciti chiesero l’abrogazione della clausola di estradizione e i guerriglieri poterono essere accolti nella comunità di Medina.

    

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