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A proposito dell'Islâm

di Tariq Ramadan

Traduzione di Asmae Dachan

Cosa dire di Dio?

È necessario definire chiaramente la concezione di religione nell’Islâm, che è leggermente diversa rispetto alla concezione cristiana: la religione o la religiosità non si identifica né con un profeta, né con una regola. L’Islâm si presenta come un atto di fede: è riconoscimento di una sottomissione cosciente all’Essere Supremo. Sottomissione alla dimensione del Trascendente significa liberarsi da tutte le manifestazioni contingenti. Ancora… l’idea del riconoscimento dell’Unico come liberazione da tutto ciò che è fortuito nella vita; riconoscere che Egli è, vuol dire liberarsi da ogni sottomissione rispetto a ciò che Egli ha creato: l’influenza degli esseri umani, i modelli, i conflitti personali, emozionali o materiali. L’Islâm, dunque, si definisce attraverso “uno stato di riconoscimento”.

“I 99 nomi di Dio sono gli attributi che si applicano a Dio, che il Corano indica come i nomi più belli”.

Nel XVIII secolo, quando alcuni pensatori come Montesquieu[1] o Voltaire[2] cominciarono ad interessarsi alla questione dell’Islâm, iniziarono a parlare di “maomettani”. Questo termine è di per sé un grave errore, perché fa riferimento, per analogia, al rapporto tra cristianesimo e Cristo. Nella tradizione musulmana, invece, si da appello ad un atto di riconoscimento del Creatore di tutti gli uomini e non ad un essere umano, anche se costui è il nostro esempio, anche se è colui che permette di avvicinarci a Dio.

È un aspetto fondamentale, perché in questo punto il rapporto del Creatore nei confronti della Sua creazione si differenzia rispetto alla concezione cristiana.

Forse questi aspetti possono sembrare secondari, ma bisogno saperne parlare con chiarezza, soprattutto in Occidente, in un contesto dove sono radicate, nell’inconscio collettivo, delle rappresentazione falsate dell’Islâm, che risalgono ai tempi del Medio Evo.

Ci sarebbe, infatti, un gran numero di esempi che mettono in evidenza le incomprensioni e gli stereotipi da sempre imperanti, ne citeremo solo qualcuno, senza farne una trattazione esaustiva. Per esempio, un brillante pensatore come Chateaubriand[3] ha potuto scrivere che il Dio degli arabi era Allah, come se fosse specificatamente il Dio dei musulmani o degli arabi. Allah è la traduzione in arabo di “Iddio”. In italiano, dunque, si dirà Dio e non Allah – anche se ci sono delle persone che preferiscono dire Allah anche quando parlano in italiano o in francese, per mettere in evidenza la specificità del nome a partire dalla lingua araba. I cristiani copti in Egitto dicono Allah per parlare di Dio, perché si tratta di una parola usata nella loro lingua; una persona di lingua inglese dirà God.

“Iddio, God, Dieu, Allah” La denominazione varia a secondo della lingua che si usa.

Così si tratta solo di una questione di traduzione e non di una pluralità di dei specifici per ogni civiltà o per ogni popolo. Egli è un Dio Unico e il Suo nome varia a seconda della lingua usata.

“Egli è un Dio Unico, lo stesso per ogni tempo e per tutti i popoli”.

Perché questa sfumatura è molto importante? Perché sfuggendo a questa regola linguistica, si evitano le divisioni della diversità. Si dice che i musulmani dicono Allah come se fosse il Dio loro, mentre la tradizione musulmana spiega che Egli è Uno e che Egli è lo Stesso per ogni tempo e per ogni popolo: Egli è Colui che ha parlato a Mosé e ha creato Gesù, così come ha creato Adamo, e ha stabilito il ciclo dei Profeti. Questo Dio è Unico e non ha nessun associato: questo è il senso del Tawhid che fonda l’esigente monoteismo islamico. Ciò segna una differenza che bisogna sottolineare, in rapporto alla tradizione cristiana che riconosce a Dio tre ipostasi[4] che fondano il mistero della Trinità[5].

Se si vuol fare lo sforzo del dialogo e della riconciliazione interreligiosa è meglio che esso venga fondata in modo rigoroso e nel riconoscimento delle differenze. La Trinità è un dogma che cela dei misteri e non si può cogliere con un puro approccio razionale; dire ciò non vuol essere un desto di denigrazione, ma il riconoscimento di una differenza, e rispetto verso il credo cristiano. Nella tradizione islamica il concetto di Trinità è assolutamente assente. La specificità di Dio sta nel fatto che nulla Gli assomiglia. Nulla, a partire dalla nostra intelligenza, dalla nostra immaginazione, neanche nel sogno, potremmo essere capaci di rappresentarLo. Egli è Il Sapiente, Colui Che comprende tutto ciò che può essere capito, nella sua totalità, al di là del nostro intelletto.

Troviamo così l’affermazione della perfezione di Dio, e inoltre dell’irriducibilità di questo Essere all’intelligenza umana. Dio è perfetto ed illimitato nella Sua perfezione, e ciò Lo rende inaccessibile alla nostra intelligenza che è limitata.

È naturale chiedersi come poter parlare di Lui, essendo Egli così inaccessibile al nostro intelletto; la tradizione islamica è molto esigente su questo: non si può dire di Dio se non ciò che Egli ci ha detto di Se Stesso. Nella tradizione biblica ciò è rappresentato dalla domanda di Mosé: “Chi sei?” Dio rispose: “Io sono Colui Che è”.

L’Essere nella dimensione assoluta, non può essere compreso totalmente dall’intelligenza umana e ciò induce subito il cuore e la mente ad un atteggiamento d’umiltà in rapporto al Creatore.

L’uomo non può avvicinarsi al Signore, se non per quello che Egli ha detto di Se Stesso, e non potrà mai coglierLo, né definirLo, nel Suo assoluto.

Dopo Allah la seconda parola messa in evidenza nel Corano è Ar-Rahman, che possiamo tradurre con “Misericordioso”, Dio, dunque, ci dona un nome, una qualifica, che permette alla nostra intelligenza di guidarci verso la Sua comprensione, senza, tuttavia, che noi possiamo coglierne pienamente l’essenza. Si conosce il concetto di generosità nella dimensione umana; un uomo può essere generoso, e lo si può definire tale se possiede questa qualità, ma se parliamo di Dio, che è Il Generoso, oltre ogni tipo di generosità immaginabile, il concetto sarà ben diverso.

La nostra intelligenza ci accompagna un cammino, che non potrà mai arrivare a definire perfettamente l’Essere, Il Quale è al di sopra di ogni perfezione concepibile, essa solo, ci orienta nel cammino verso ciò che Egli è. La nostra fede, invece, ci avvicina alla comprensione attraverso un lavoro di meditazione interiore e di iniziazione. Nella tradizione mistica, nota come il Sufismo (tasawwuf)[6] esiste un esercizio, che consiste nel ripetere i nomi di Dio al fine di assorbire l’importanza del Suo nome, come dicono certi sufi, per poi liberarsi spiritualmente nella Sua realtà, senza mai però riuscire a circoscriverla intellettualmente.

Possiamo citare anche altri nomi di Dio ripetuti più spesso nella recitazione cranica.

Ar-Rahman, Ar-Rahim. I due nomi hanno la stessa radice, una piccola sfumatura nei termini del dono della misericordia: Egli è Il Misericordioso, riferendosi alla totalità della misericordia contenuta nel Suo essere (Ar-Raman), ed è Colui che distribuisce questa misericordia al di là di ogni generosità immaginabile (Ar-Rahim).

Dio si presenta all’uomo attraverso i Suoi nomi per permettergli di avvicinarsi a Lui, senza che però abbia la possibilità di raggiungerLo, né l’orgoglio di definirLo o sfidarLo. In questa operazione razionale, il concetto di umanità sembra fondamentale. Egli è Il Creatore (Al-Khaliq), Colui che dà forma a tutte le cose (Al-Musawwir), L’Onnisciente (Al-Alim), L’Assoluto (As-Samad), L’Eterno (Al-Baqi). Edite una serie di nomi che ricordano spiritualmente il Suo potere e la Sua perfezione, ma Egli ha anche dei nomi che rimandano alla Sua misericordia, alla Sua saggezza (Al-Hakim), alla Sua bontà (Al-Latif), al Suo amore (Al-Wadud).

Queste qualità orientano il nostro cuore e superano il nostro intelletto. Non abbiano, nella nostra costituzione intellettuale ed emotiva, la possibilità di conoscere la perfezione; conosciamo solo la perfettibilità, ovvero la possibilità di camminare verso la perfezione, senza mai raggiungerla pienamente.


[1] Montesquieu: (1689-1755) Scrittore francese, autore di Lettere persiane (1721), Considerazioni sulle cause della grandezza dei Romani e della loro decadenza (1734) e di Lo spirito delle leggi (1748).

[2] Voltaire: (1694-1778) Scrittore francese, autore celebre per Lettere filosofiche (1734), Zadig (1747), Candido (1759), Il secolo di Luigi XVI (1734) e del Dizionario filosofico (1764).

[3] Chateaubriand François René: (1768-1848) Scrittore francese noto per Il Genio del cristianesimo (1802), con cui intendeva contribuire alla restaurazione dell’ordine morale; René (1805), dove René incarna il “mal du siècle”; Memorie d’oltretomba (1848-1850), libri per la cui redazione ha lavorato trent’anni e che sono una meditazione sulla storia, il tempo e la morte.

[4] Ipostasi: dal greco hypostasis, “ciò che è messo sotto”. Nella teologia cristiana indica ognuno delle tre persone divine considerate come distinte.

[5] Trinità: dal latino trinum “triplo”. Per la teologia cristiana l’unione delle tre persone divine, Padre, Figlio e Spirito Santo, distinte e consustanziali (di una sola e stessa sostanza), in una sola e indivisibile natura.

[6] At tasawwuf: (Il sufusmo) Si tratta di una scienza, la scienza della mistica, che ha un quadro, delle regole ed un vocabolario tecnico specializzato. Necessita di un’iniziazione. Sinteticamente, comprende i diversi studi dei sapienti o delle scuole relative alle tappe o agli stati che permettono il cammino interiore verso Dio. È la dimensione di al-haqiqa, della verità, della realtà spirituale interiore che porta al riavvicinamento.

     

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