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A proposito dell'Islâm

di Tariq Ramadan

Traduzione di Asmae Dachan

L’amore e l’obbedienza nell’amore

L’amore è un concetto centrale per l’Islâm, ed è indissociabile dalla tradizione musulmana, anche se alcuni  fedeli tendono a trascurarlo:

Di': «Se avete sempre amato Allah, seguitemi. Allah vi amerà e perdonerà i vostri peccati. Allah è perdonatore, misericordioso”. (Corano III, 31)

 L’essenza stessa dell’Islâm si sviluppa nell’amore. Tutto, nella tradizione islamica, ruota intorno all’esperienza del cuore in rapporto al Signore. Il Paradiso e l’Inferno vengono evocati per esprimere una sorta di transazione conclusa tra Dio e le Sue creature. Alcuni filosofi e mistici musulmani hanno messo in evidenza una dimensione superiore a questa visione. L’imam An Nawawi (1233-1277), scrittore del XII secolo, afferma che esistono due tappe nella fede: la “fede del commerciante” che si dona a Dio in cambio del Paradiso e, la “fede dell’avvicinato” che si consacra a Dio con un atto di puro amore. Il concetto di scambio sparisce per far posto ad un amore totale, intero, gratuito.

 Questo amore si sviluppa durante un cammino connotato da disciplina e rigore interiore. Questa è l’interpretazione e la visione dell’essere di fede, e del rabbani (l’essere pervaso dalla coscienza di Dio) che hanno una spiritualità più alta del comune, perché la sviluppano in modo più intenso, con un’attenzione ad ogni istanti, per liberarsi attraverso Lui, e in Lui. Cercano con questo sforzo assiduo di pervenire ad una sorta di intimità, qualche volta di fusione, con l’Altissimo.

Questa dimensione è importante perché traduce ciò che è la speranza ultima del musulmano: non solo il Paradiso, ma la visione di Dio, il desiderio di essere con Lui, in Sua presenza, in una pienezza d’amore.

Come possiamo allora definire la prova rappresentata dalla purificazione? L’imam Al Ghazali (1058-1111) sviluppa nel suo libro “La revivificazione delle scienze religiose” un’idea interessante. In sostanza egli dice: “Il nostro cuore è sempre pieno di qualcosa, non lo si può svuotare completamente. L’uomo può scegliere se riempirlo con futilità, o riempirlo di essenziale, di profondità, di presenza divina. Questo lavoro richiede di allontanarsi dal futile e riempirsi di essenziale. Il senso della nostra vita sta in questo, in questa coscienza dell’essenziale”.

Anche una tradizione profetica ci ricorda questa dimensione, cioè di essere con Dio come se Lo vedessimo, perché, anche se noi non Lo vediamo, Lui ci vede. Bisogna capire bene il significato dello sguardo divino: non si tratta di una presenza che deve automaticamente ispirare un senso di colpa, ma di una presenza pervasa da ciò che in arabo si chiama khushu’. In alcune traduzioni coraniche il khushu’ si definisce “timore di Dio”, ma questo termine non è completamente esatta, perché si avvicino troppo al significato di paura.

Il timore può tradurre due modi: quello che sorge davanti a ciò che non conosciamo, per esempio il futuro; o il timore provato da colui che è abitato da un sentimento di colpa sapendo che Dio lo sorveglia e che Egli conosce i suoi errori e le sue mancanze.

 Un approccio più completo invece deve mettere l’accento su un timore che si definisce a partire dalla vicinanza affettiva, un timore che viene da un amore totale, esclusivo, timore di ingannare l’Essere amato. Si ritrova questo timore nella relazione tra un uomo e una donna che provano sentimenti d’amore, o nei bambini che amano i propri genitori al punto di temere di deluderli. È il timore di non rispondere all’aspettativa dell’amore dichiarato. Per restare fedeli al senso della tradizione musulmana, bisogna prendere in considerazione quest’ultima definizione.

 Il concetto d’amore e di obbedienza nell’amore è fondamentale nella spiritualità musulmana, così come per tutte le spiritualità che affermano che bisogna imparare ad amare per poter servire ed entrare nella pace della fede.

     

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