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Vita del Profeta Muhammad

Su di lui Pace e benedizione

di Hamza Piccardo

La conquista della Mecca

Dopo la vittoria di Khaybar e il successo dell’Omra il dominio del politeismo stava vivendo in Arabia le sue ultime ore, tutto era ormai pronto per la spallata finale.

Il casus belli venne fornito dalla rottura della tregua da parte dei Bani Bakr, una tribù politeista e all’aiuto che i Coreisciti le fornirono. Le vittime erano Bani Ka’b, una tribù alleata del Profeta (pbsl) che corse a Medina a chiedere aiuto. Quando i notabili della Mecca si resero conto della conseguenza di quello che era avvenuto tra i Bani Bakr e i Bani Ka’b, inviarono Abu Sufy-n a rinegoziare un accordo. Il Profeta (pbsl) rifiutò di acconsentire alle sue richiesta senza peraltro dirgli chiaramente che considerava rotta la tregua. Il coreiscita ritornò alla Mecca per nulla tranquillizzato, mentre a Medina si cominciavano a fare i preparativi per una nuova spedizione militare. Come era suo costume, Muhammad informò del suo obiettivo solo i fedelissimi Furono chiamate a raccolta tutte le tribù alleate e quando l’armata si mise in marcia nei primi giorni del mese di Ramadan dell’VIII anno dopo l’Egira, si mossero oltre diecimila uomini. Nel corso della marcia l’Inviato di Allah (pbsl) accettò tra i suoi un altro migliaio di cavalieri della tribù dei Bani Sulaym, alla quale apparteneva una sua ava, la madre di Hashim il fondatore del suo clan famigliare.

Quando furono ai limiti del territorio sacro il Profeta mise in atto uno stratagemma di guerra psicologica. Ordinò a tutti gli uomini di sparpagliarsi e cercare legna. Appena sopraggiunta la notte ognuno di loro avrebbe dovuto accendere un fuoco. Lo spettacolo che gli osservatori meccani videro fece loro accapponare la pelle. Valutando la quantità dei fuochi, sembrava che l’armata accampata fosse di gran lunga superiore ai dieci, dodicimila uomini di cui si era parlato.

Di nuovo Abu Sufyan fu incaricato di convincere il Profeta a desistere dall’attaccare la città. Per tutta risposta egli lo invitò ad abbracciare l’Islàm, cosa che quello fece l’indomani mattina, dopo aver constatato la devozione con cui i credenti trattavano Muhammad.

Valutando appieno l’opportunità di non umiliarlo, l’Inviato di Allah (pbsl)stabilì le condizioni della resa della città.

"Chi sarà nella casa di Abu Sufyan sarà salvo – proclamò -; chi starà dietro la porta della sua casa sarà salvo; chi entrerà nel Recinto Sacro sarà salvo".

Dopo aver visto il dispiegarsi dell’esercito che metteva in opera il piano predisposto dal Profeta, Abu Sufyan si precipitò nella città gridando a tutti l’inutilità di qualsiasi resistenza e le condizioni imposte per avere salva la vita.

Muhammad aveva ordinato ai suoi di non combattere se non attaccati e la conquista della città fu portata a termine senza quasi estrarre le spade dai foderi. Solo alcuni irriducibili al comando di Ikrimah attaccarono il contingente comandato da Khalid. Una trentina di loro furono uccisi contro due vittime di parte musulmana, gli altri furono volti in fuga.

Quando tutta la città fu saldamente nelle mani dei credenti, il Profeta indossò la sua corazza e le sue armi e montando Qaswa si recò alla Ka’ba. Toccò la Pietra, fece i sette giri rituali e poi abbatté i trecentosessanta idoli che si trovavano nel Recinto Sacro recitando: "E’ giunta la verità, la falsità è svanita . Invero la falsità è destinata a svanire".(Corano XVII,81)

Quindi si fece portare la chiave della Ka’ba e vi entrò con alcuni dei suoi. Ordinò che anche l’interno fosse purificato da ogni retaggio di culto idolatrico.

Quando uscì parlò alla gente, che era uscita dalle case nell’ansiosa attesa delle sue decisioni, come parlò Giuseppe ai suoi fratelli quando annunciò loro di averli perdonati: "Oggi non subirete nessun rimprovero! Che Allah vi perdoni, Egli è il più misericordioso dei misericordiosi (Corano XII,92.

Sulla collina di Safa ricevette la sottomissione dei meccani e anche quelli che erano stati i suoi più irriducibili nemici furono perdonati. Anche Hind, che aveva masticato il fegato di Hamza dopo Uhud, anche Ikrimah che aveva combattuto fino all’ultimo minuto.

Era il ventesimo giorno del mese di Ramadan dell’anno VIII dall’Egira (630 d.C.), erano passati vent’anni dall’inizio della rivelazione del Corano.

    

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