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Guida Del Pellegrino

di Yacoub Roty

Traduzione a cura di 'Aisha Farina

Il pellegrinaggio interrotto

Colui che ha validamente effettuato il wuqûf ‘Arafât e poi è impossibilitato (per malattia, guerra, ecc.) a compiere il tawâf al-ifâda, ha realizzato il proprio hajj, ma il suo ihrâm sussisterà, con tutti i divieti[1], fino a che non avrà compiuto questo tawâf, e il sa’y, nel caso in cui esso sia ancora dovuto. Senza aspettare di poter compiere il tawâf al-ifâda, effettuerà il taglio dei capelli e, per ciò che riguarda gli atti necessari (wâjib) che non avrà potuto compiere, ossia la stazione a Mizdalifa, le lapidazioni e le notti a Minâ, effettuerà un solo sacrificio, o ciò che lo sostituisce, cioè digiuno o elemosina (vedere capitolo 32).

 Quando il pellegrino avrà infine, presto o tardi, compiuto il sacrificio eventualmente dovuto per gli atti necessari mancati[2], effettuato il tawâf al-ifâda e il sa’y, sarà regolarmente e totalmente desacralizzato[3].

 Al contrario, se il rapporto coniugale o ciò che vi è assimilato (vedere capitolo 10) intervenisse prima del compimento (per quanto lontano nel tempo esso sia) del tawâf al-ifâda, il pellegrinaggio sarebbe distrutto, il tawâf al-ifâda resterebbe obbligatorio per poter lasciare l’ihrâm viziato, un pellegrinaggio compensatorio dovrebbe essere compiuto dopo la desacralizzazione del rito viziato, e un sacrificio supplementare sarebbe dovuto in ragione del rito distrutto.

 La morte nel corso dell’hajj

 E’ riportato che, durante il wuqûf ‘Arafât, un uomo cadde dalla sua cammella e morì. Il Messaggero di Allah (sallAllahu ‘alayhi wasallam) disse: «Lavatelo con dell’acqua e del giuggiolo[4], lasciategli il suo vestito come sudario, non copritegli la testa e non lo profumate, poiché, il Giorno della Resurrezione, resusciterà pronunciando la talbiya» (Bukhârî).

 Quando un pellegrino muore nel corso di un tamattu’, il sacrificio imposto da questo modo di pellegrinaggio non è dovuto se non quando il decesso avviene dopo le lapidazioni del Giorno del Sacrificio. Se si tratta di un qirân, il sacrificio imposto da questo tipo di hajj non è dovuto se non quando il decesso sopraggiunge dopo il tawâf al-ifâda. Questo sacrificio è a carico degli eredi.


[1] Quando avrà tagliato o rasato i capelli e fornito l’eventuale sacrificio dovuto per gli atti necessari mancati (particolarmente le lapidazioni) avrà compiuto la desacralizzazione parziale, che lo autorizza a lasciare l’abito dell’ihrâm (vedere capitolo 30). Per quanto riguarda l’atto coniugale, invece, esso rimarrà proibito fino a che il pellegrino non avrà effettuato il tawâf al-ifâda, e il sa’y nel caso in cui questo sia ancora dovuto (vedere capitolo 30)

[2] Senza dimenticare gli altri sacrifici eventualmente dovuti, in particolare se l’hajj era compiuto in modo qirân o tamattu’.

[3] E non dovrà, evidentemente, compiere alcun hajj compensatorio.

[4] Le foglie di questo arbusto sono messe nell’acqua della seconda abluzione del morto e hanno l’effetto di facilitare il lavaggio.

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