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Islam è Pace

A cura di Dr. Mujahed Badaoui

LA PACE E LA GIUSTIZIA

La storia insegna che dove regna l’ingiustizia non c’è pace; ogni persona responsabile ha interesse che vengano stabilite delle garanzie nell’applicazione della giustizia, dato che la società può funzionare efficacemente solo quando i suoi membri sono protetti da leggi adeguate. Nell’Islam la prima di queste garanzie è la tutela della vita, e la conseguente salvaguardia del diritto all’esistenza di ogni essere umano; in linea di principio, l’uccisione di un singolo uomo non è meno grave dell’eliminazione dell’intero genere umano, dato che entrambi i casi rappresentano una violazione del diritto alla vita, così sancito nel Corano:

«Per questo abbiamo prescritto ai figli d’Israele che, chiunque uccida un uomo che non abbia a sua volta ucciso o sparso la corruzione sulla terra, sarà come se avesse ucciso l’umanità intera. E chi ne abbia salvato una, sarà come se avesse salvato tutta l’umanità», (Corano, 5:32).

Oltre a garantire il diritto alla vita, l’Islam garantisce anche la dignità umana e la proprietà privata, basandosi su questo detto del Profeta Muhammad:

«Il sangue del musulmano, la sua dignità e le sue proprietà, sono sacrosante».

Vi è inoltre poi la garanzia di inviolabilità per la propria casa, così testimoniata da Dio stesso:

«O voi che credete! Non entrate in case che non siano le vostre senza aver chiesto il permesso ed aver salutato la gente che le abita; questo è meglio per voi. Ve ne ricorderete?», (Corano, 24:27).

Un’ulteriore garanzia è la salvaguardia dalla calunnia e dallo spergiuro, la quale mira a proteggere le persone dalle false accuse e dai processi ingiusti; a questo riguardo, l’Islam fornisce regole e procedure atte ad evitare ogni genere di abuso: infatti per la giurisprudenza islamica nessuno deve essere condannato finché sussistono dubbi sulla sua colpevolezza, poiché ogni testimonianza a suo carico deve essere ritenuta attendibile e dimostrata valida secondo norme ben specifiche. Viene stabilito, infine, che la condanna non deve essere emessa fintantoché sussiste anche il minimo dubbio sulla colpevolezza dell’imputato:

«O voi che credete, evitate il dubbio e l’illazione perché il dubbio in molti casi è peccato. E non spiatevi…», Corano, 49:12).

Il Profeta Muhammad ha inoltre detto:

«Sospendete la sentenza, se avete dei dubbi».

Infatti, l’aver agito in stato di bisogno non può dar luogo ad un verdetto di colpevolezza:

«E chi ví sarà costretto, senza desiderio od intenzione, non farà peccato…», (Corano, 2:173).

Applicando quindi la legge islamica si promuove la pace, e si rispettano i diritti fondamentali dell’essere umano, quali il diritti alla vita, alla dignità personale, alla proprietà privata e ad un’equa giustizia, che devono essere alla base di una società giusta, sicura e pacifica.

Le necessità materiali

Poiché la natura umana è concepita come originata da una duplice matrice, materiale e spirituale, l’Islam non solo attribuisce un’importanza primaria alle necessità materiali, ma ribadisce anche l’importanza del soddisfacimento dei bisogni spirituali; in questo sta la differenza tra l’Islam e le dottrine di matrice materialista, perché il suo approccio ai problemi umani è onnicomprensivo e maggiormente realistico, a tal punto che nell’Islam vi è la perfetta consapevolezza che le leggi e le garanzie sono inefficaci, se l’individuo non può soddisfare i suoi bisogni primari. Non ci si può dunque aspettare che uomo agisca al meglio delle sue potenzialità intellettuali e fisiche quando le sue necessità di base sono disattese; per questo l’Islam si pone l’obiettivo di garantire ad ognuno un decente standard di vita, al fine di assicurare l’equilibrio sociale ed il progresso della comunità. Vediamo ora come l’Islam tuteli queste garanzie, in primis dando il suo giusto statuto al lavoro.

Il lavoro, dal punto di vista sociale, è il principale mezzo di sostentamento per l’individuo, dato che fornisce all’uomo ciò che gli permette di vivere, e per questo motivo è considerato importante anche dal punto dal di vista religioso; il Profeta Muhammad ha detto infatti:

«Nessuno tra mangia miglior cibo di quello guadagnato con le proprie mani».

Se però, per qualsiasi ragione, un uomo diventasse incapace di provvedere al proprio sostentamento, lo stato islamico ha l’obbligo d’intervenire e provvedere alle sue necessità; la Legge religiosa prevede che, in caso d’indigenza o qualora il guadagno di un cittadino sia inadeguato a far fronte ai bisogni basilari, lo Stato intervenga erogando quanto necessario. A tutte le persone indigenti è assicurato il diritto ad un’indennità governativa erogata dalle casse dello stato; infatti Omar, il secondo Califfo, garantì pensioni per i vecchi e per i disabili in quanto cittadini, con eguali diritti, dello Stato islamico. Anche all’interno della famiglia la legge islamica fissa delle responsabilità reciproche, per cui ogni membro che si trovi in stato di bisogno ha diritto all’aiuto dei propri parenti; se ne deduce che il patrimonio della famiglia deve garantire il sostentamento di tutti i suoi membri, non solamente per il vicolo di parentela esistente, ma per un preciso dovere legale. Il sistema islamico garantisce perciò che venga assicurato un adeguato tenore di vita ad ogni cittadino che non riesce a provvedere a se stesso, qualunque sia il suo grado di disabilità, sia che si tratti di un’invalidità temporanea, permanente, parziale o totale; garanzie di questo genere sono fondamentali per la pace nella società, poiché limitano lo scontento sociale e il conflitto di classe determinati dalla povertà.

L’equilibrio sociale

Il sistema di giustizia islamico, come abbiamo più sopra spiegato, si propone il raggiungimento dell’equilibrio sociale tramite l’assicurazione di un adeguato standard di vita per ogni cittadino; l’equilibrio sociale è un fattore universalmente ritenuto importante per la giustizia, la pace e lo sviluppo della civiltà. Questo tipo di equilibrio è presente nel sistema politico islamico, basato sulla Legge religiosa, e di conseguenza permea la sua legislazione, la sua struttura giuridica ed amministrativa ed il suo sistema dì previdenza sociale. Come illustreremo in seguito, quest’ultimo affonda le sue radici nell’imposta cranica, che Dio ha ordinato di versare annualmente a coloro che hanno accumulato del capitale superfluo; tale sistema rappresenta la massima espressione della giustizia e della saggezza divina, essendo il primo sistema al mondo di ridistribuzione della ricchezza, e la sua validità è stata confermata fin dai tempi della sua prima applicazione, nello Stato Islamico fondato a Medina dal Profeta.

La ridistribuzione della ricchezza tra tutti i cittadini fa dunque parte dell’ordinamento economico dello stato islamico, che noi cercheremo ora di illustrare ai lettori, suddividendolo per comodità in dieci principi fondamentali: il primo principio su cui esso sì basa sancisce che i meno abbienti non debbano essere esclusi dalla circolazione del capitale; questo principio è esplicitamente citato dall’Altissimo nel Corano:

«Cosicché essa [la ricchezza] non sia [semplicemente] divisa tra i ricchi di voi…», (Corano, 59:7).

In tal mondo si pone un controllo governativo sull’accumulo dei beni che costituiscono la proprietà privata, e li si assoggetta ad una tassa sulle entrate, finalizzata ad una ridistribuzione della ricchezza da parte dello Stato, qualora le condizioni sociali lo richiedano. Tale procedura non contrasta assolutamente con il pieno diritto alla proprietà privata, che è una concezione connaturata all’ordinamento economico islamico, e tutelata da parte del governo nell’interesse dei cittadini.

Il secondo principio fa obbligo al governo islamico di imporre ai ricchi un’imposta aggiuntiva sul capitale, oltre alla generale tassa sulle entrate sopra accennata, per far fronte alla spesa pubblica qualora il bilancio statale fosse deficitario. Tale imposta non è rimborsabile e viene considerata una vera e propria tassazione sul capitale. Nonostante tale imposta possa essere considerata come una restrizione alla proprietà privata, essa viene invece giustificata dai bisogni della comunità, dato che lo stato è autorizzato a dare priorità assoluta all’interesse pubblico ogniqualvolta ciò si renda necessario, come appunto nel caso del ripianamento del disavanzo economico; quindi, se le tasse ordinarie sono insufficienti per raggiungere tale equilibrio, senza violare il diritto ed il principio della proprietà privata, una parte della ricchezze dei singoli cittadini può essere incamerata dallo stato.

Il terzo principio sancisce che lo stato ha l’obbligo di prendere delle misure precauzionali per promuovere il benessere generale della comunità e per prevenire la corruzione. Ciò implica che tutto quello che conduce all’illegalità è di per se stesso illegale, mentre tutto ciò che favorisce l’osservanza della legge deve essere incentivato. Il motivo di queste misure precauzionali è quello di poter valutare il risultato di determinati comportamenti: se questi risultano positivi per la comunità, lo stato deve obbligare i cittadini ad osservarli, se invece risultano negativi, è naturale che vengano repressi, tale misure sono finalizzate a regolare il divario tra i ceti sociali, che rappresenta la causa principale di una serie di problemi, non ultimo lo scontento delle classi meno privilegiate e la mancanza di pace sociale.

Il quarto principio sancisce di conseguenza la proibizione dei prestiti di denaro ad interesse; è noto che i profitti oscillano a seconda delle condizioni economiche e sociali dei mercati ma, al contrario, l’interesse non è mai soggetto alle medesime condizioni perché risulta solo indirettamente vincolato ai criteri della domanda e dell’offerta.. Il sistema di prestito ad interesse, adottato dal sistema bancario internazionale, è quindi la causa principale dell’aumento dell’inflazione, quest’ultima, infatti, è il risultato dell’influenza dell’interesse sul denaro in circolazione. Nell’attuale regime economico liberale, accade quindi puntualmente che l’aumento dell’inflazione sia il risultato della circolazione di denaro proveniente dal sistema bancario internazionale, privo di relazioni con le entrate statali. Nell’Islam, con la proibizione di tale criterio, ognuno è obbligato ad investire e a far circolare il proprio capitale per farlo fruttare, invece che ricavare vantaggio esclusivamente dall’interesse; il risultato è il ristabilimento dell’equilibrio economico, la promozione del benessere e la pace sociale.

Il quinto principio riguarda il problema del monopolio e delle concessioni: a differenza di quanto stabilisce il sistema economico dell’Islam nelle economie mondiali, il potere è nelle mani di chi, de jure o de facto, controlla i monopoli e le concessioni governative, ed è utilizzato ai fini esclusivi del profitto. Avviene poi che i detentori dei monopoli sfruttino i bisogni dei consumatori, perché quei beni non possono essere acquisiti se non tramite loro; tutto questo, certamente, non fa gli interesse dei consumatori ed è chiaro che una tale politica, improntata soprattutto all’ottenimento del massimo profitto possibile a spese della comunità, si trasforma poi in un regime di monopolio dei prezzi. Inoltre, i monopolisti, specialmente se si tratta delle multinazionali, sono in grado d’influenzare le scelte economiche e politiche dei governi con cui trattano, in quanto il controllo della domanda e dell’offerta, e di conseguenza dei prezzi, è nelle loro mani.

Il sesto principio riguarda la nazionalizzazione delle risorse: si tratta di una strategia economica nella quale le materie prime e le fonti energetiche sono considerate come risorse pubbliche e non possono essere detenute privatamente; il controllo pubblico di tali risorse può infatti rimuovere di una della causa dello squilibrio economico, perché la nazionalizzazione delle ricchezze pubblico le mette al riparo dalle manovre di compagnie private, che sfrutterebbero tali ricchezze a proprio esclusivo vantaggio. Questo processo non va però interpretato come se fosse sinonimo di socialismo, anche se, di fatto, è teso a scoraggiare una forma di colonialismo economico. Il socialismo è generalmente inconciliabile col concetto di proprietà privata, che è invece fondamentale nell’ordinamento economico islamico; l’Islam garantisce infatti all’individuo, come anìbbiamo già affermato, il diritto alla proprietà privata dalla quale egli ricava il proprio sostentamento, ma tende, con il suo sistema economico, a non porsi in conflitto con gli ordinamenti vigenti nelle altre economie e, al contrario, ad accoglierne ed elaborarne al proprio interno le migliori soluzioni.

Il settimo principio riguarda la proibizione dello spreco; l’Islam non è assolutamente favorevole ad una vita di privazioni ma, pur esortando a trarre beneficio dai beni materiali che sono considerati leciti, disapprova lo sperpero:

«O figli di Adamo! Abbigliatevi prima di ogni preghiera. Mangiate e bevete, ma senza eccessi, perché Dio non ama chi eccede», (Corano, 7:31).

Poiché, come spesso accada, lo spreco è una prerogativa della classi più agiate, esso rappresenta una forma di violenza materiale e morale che va a discapito del benessere dei meno abbienti, aumentando la tensione tra le classi sociali.

Analogamente l’ottavo principio concerne la proibizione di accumulare ricchezze:

«Annuncia a coloro che accumulano l’ore e l’argento, e non spendono per la causa di Dio, un doloroso castigo», (Corano, 9:34).

Questo reato non soltanto è punito  dalla giustizia divina nell’aldilà, ma rappresenta anche un problema con conseguenze legali, previste dalla giurisprudenza islamica; infatti, il Profeta Muhammad, a proposito dello stesso argomento, ha detto:

«Chi trattiene presso di sé un dinar o un dirham, dell’oro o dell’argento, senza averlo messo da parte ed usato per fare prestiti o per la ausa di Dio, questi è un avaro e sarà punito nell’aldilà».

Questo detto del Messaggero di Dio stigmatizza l’avarizia e ricorda che sarà punita nella vita eterna; inoltre esso costituisce la fonte normativa per un’equa ripartizione delle ricchezze nella società islamica, questione che è d’interesse pubblico e viene regolata mediante l’intervento dello Stato.

Il nono principio legittima il diritto alla proprietà privata; l’Islam sancisce a questo proposito che essa, pur essendo ritenuta un diritto ineludibile, venga garantita solo a determinata condizioni; infatti, non può essere giustificata se non è stata legittimamente acquisita, dato che l’acquisizione tramite l’inganno, corruzione, usura o monopolio è illegale, e dato che lo Stato Islamico è obbligato ad accertare i mezzi con cui la proprietà p stata acquisita ed a giudicare della loro legalità. Se essa è stata acquisita legalmente il contrario, lo Stato non la riconosce e deve imporre delle restrizioni al suo utilizzo. Riconoscendo il diritto alla proprietà privata, l’Islam risponde all’istinto ed al desiderio dell’uomo per possesso, e lo regolamenta affinché egli ne goda i benefici secondo la Legge religioso.; quest’ultima non può che essere equilibra, giusta e conforme alla natura umana, quindi mirante alla salvaguardia della società e dell’individuo.

Il decimo e ultimo principio è relativo alla tassa cranica (Zakat); questa è un’importa annuale obbligatoria che viene prelevata dallo stato, in base al capitale realmente accumulato, e ripartita tra le categorie dei bisognosi secondo quanto prevedono le norme stabilite dal Corano. Tale procedimento rappresenta il primo esempio assoluto di ridistribuzione della ricchezza, la cui validità è stata storicamente dimostrata con la sparizione della povertà sin dal momento della sua prima applicazione all’epoca dello Stato Islamico, nel primo secolo dell’Egira, vale e dire circa il settimo secolo dell’era cristiana; questo esempio dovrebbe rappresentare, per i credenti di tutte le religioni, un incitamento ed un mezzo pratico per risolvere il problema della povertà mondiale, a differenza dei sistemi economici marxisti, socialisti, o capitalisti attualmente in vigore nelle società moderna, ì cui deludenti risultati sono ben visibili, l’applicazione del sistema economico islamico, basato sulla ridistribuzione della ricchezza prevista dai dettami cornici, potrebbe costituire infatti un modello di ispirazione per le future società, al fine di risolvere i loro problemi di ingiustizia e di povertà e di conseguire infine una autentica pace sociale ed universale.

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